UNA VITA PER L’APNEA: FEDERICO MANA

Istruttore di apnea e di yoga, scrittore e campione italiano in assetto costante con il tuo ultimo record di -100: quando è nata questa tua passione per l’apnea e perchè?
Ho iniziato come tutti ad amare l’acqua attraverso i corsi di nuoto, e già da piccolo il mio istruttore di nuoto Oscar aveva capito che mi piaceva molto immergermi. Con la scusa di mandarmi a cercare orecchini o braccialetti persi sul fondo della piscina  non mi faceva fare in solito riscaldamento a bordo vasca e mi permetteva di sguazzare liberamente alla ricerca dei tesori persi.

Mi sono avvicinato all’apnea per gioco e attraverso la pesca, all’età di 12 anni mio padre mi regalò il mio primo fucile subacqueo (chiamarlo fucile è un eufemismo, ma all’epoca mi sentivo il terrore dei mari) ed iniziai a passare le ore in mare, ma i miei carnieri erano spesso poverissimi perché invece di sparare restavo incantato dal mondo sommerso (è un modo poetico per dire  che ero un pescatore scarso).

Questa gioia incondizionata che provavo ogni volta che uscivo dall’acqua mi spinse col tempo a cercare una scuola di formazione che mi permettesse di conoscere meglio le tecniche per praticare l’apnea.

Un po’ timoroso (anch’io pensavo che la “vera apnea” fosse solo per supereroi) mi avvicinai alla scuola del mio idolo Umberto Pelizzari e frequentai quindi il mio primo corso di Apnea Academy dove incontrai altri ragazzi con la mia stessa passione viscerale per il blu.

Come spesso accade fu proprio il gruppo di amici apneisti ad accentuare le motivazioni personali e la voglia di migliorare.

Dal blu del mare passammo al nero del lago per le sessioni di allenamento, era freddo anzi freddissimo ma la voglia di acqua andava oltre la temperatura e l’obiettivo era quello  di diventare istruttore per poter trasmettere e condividere questa passion

A 28 anni decisi di lasciare la mia vita milanese per provare a vivere di mare ed apnea ed oggi sono quasi sette anni che mi sveglio con il mare negli occhi.

Consigli ad ogni apenista che leggera’ questa intervista di frequentare un corso di yoga? Perchè?
La risposta che ci si aspetterebbe è SI

In realtà non penso lo yoga debba essere il percorso di ogni apneista.

Lo yoga è sicuramente una disciplina complementare a quella apneista sia sotto l’aspetto di consapevolezza corporea sia sotto l’aspetto respiratorio, ma dall’altra parte non tutti gli apneisti hanno molto tempo da dedicare a molte ore di allenamento.

Coloro che non posseggono troppo tempo per allenarsi  devono scegliere come impiegare il tempo, il mio consiglio è quello di divertirsi e a parer mio l’apnea è più divertente dello yoga.

Il divertimento è infatti alla base di un apprendimento proficuo e motivante che spinge ogni atleta a trovare sempre nuovi stimoli e risorse per lavorare con costanza.

Amo profondamente lo yoga, ma sono consapevole che non è la sola strada di crescita, è una delle strade possibili, ed ogni apneista deve riconoscere quale via più si addice alle sue caratteristiche.

Quali sono state le difficolta’ prima di riuscire ad ottenere i tuoi record?
La difficoltà che ho avuto nelle specialità di apnea profonda è stata quella che hanno incontrato praticamente tutti gli apneisti, ovvero quella di compensare.

Ricordo ancora con gran chiarezza le sensazioni legate all’impossibilità di trovare aria per compensare. Nel 2003 mi si presentò il muro dei 38 metri e vi rimbalzai contro per diversi mesi.

Ogni seduta di assetto costate era una sfida snervante, andavo in acqua con un solo pensiero, quello di scendere più fondo.

Questo periodo fu il più brutto delle mia vita apneistica perché le aspettative avevano neutralizzato ogni mia capacità di ascolto e di crescita.

Quando capii che andavo in acqua senza più divertirmi compresi che l’apnea era altro, abbandonai le aspettative ed i sogni di profondismo ed iniziai ad andare in acqua esclusivamente per divertirmi scendendo per guardare il mondo sommerso e a volte pescare.

Il gioco ed il divertimento mi permisero di stare nel blu in un modo a me nuovo e decisamente rilassato.

Quando, dopo meno di un anno, rimisi il profondimetro mi accorsi che giocavo a quote oltre i 50 metri ed in costante scendevo agevolmente oltre i 60 metri.

Quanti giorni alla settimana ti alleni e per quante ore?
Sei giorni a settimana ed il numero di ore è variabile, ma decisamente inferiore rispetto a quelle di un paio di anni fa dove arrivavo ad allenarmi ache 6/8 ore al giorno.

L’allenamento è per me un’aspetto fondamentale ma ancora sperimentale.

Negli ultimi tre anni mi sono allenato seguendo ritmi differenti al fine di comprendere con un allenamento piuttosto che un altro provochino variazioni sul mio modo di fare apnea.

La preparazione atletica nel periodo invernale e in quello primaverile è simile a quella delle stagioni passate, ma in questo periodo gioca un ruolo fondamentale il recupero e l’inserimento casuale di giorni di non allenamento (quando sento che il corpo ne ha bisogno).

Ritengo infatti che riposarsi correttamente sia importante quanto un buon allenamento.

Nei quattro mesi invernali lavoro sull’aspetto aerobico e sulla forza muscolare seguendo delle tabelle di lavoro a secco ed altre in piscina. In questo periodo l’obiettivo è raggiungere la buona forma fisica. Successivamente passo ad una fase di lavoro più fine, per tre mesi diminuisco il carico fisico ed inizio a lavorare maggiormente sulla forza resistente e sull’elasticità muscolare nelle sessioni a secco mentre in acqua, lavoro maggiormente sulla tecnica. Negli ultimi due anni, però, ho aggiunto una variabile, ho iniziato a cimentarmi in modo abbastanza assiduo nella pesca subacquea.

Questa disciplina divertentissima mi ha permesso di affrontare il mare con tempi e modalità differenti e penso di aver acquisito nuovi schemi motori e mentali in acqua che prima non possedevo. 
Non so se è merito di queste sessioni di allenamento pescando, ma quest’anno mi sono ritrovato ad avere apnee molto più lunghe rispetto alle stagioni passate. Già nei tuffi di riscaldamento raggiungo senza problemi quasi quattro minuti di apnea. Questa condizione mi rende emotivamente molto sereno perché, sapendo di poter stare tanto senza aver bisogno di respirare, anche il tuffo in profondità sarà più “semplice”.

Scendere a -100 quali sensazioni si provano e sopprattutto è difficile la compensazione?
Ritengo la quota dei 100 metri come una specie di olimpo!

Ritengo che un tuffo a questa profondità debba essere un tuffo pressoché perfetto. Per scendere a queste quote non serve la sola prestanza fisica, ma è fondamentale la capacità di rilassare il corpo anche sotto la forte pressione che si avverte oltre gli 80 metri. 
Oltre questa profondità la compensazione diventa decisamente complessa ed è sufficiente un piccolo errore o un leggero ritardo che tutto si blocca e si è costretti a virare e tornare verso la superficie. Se per scendere serve un eccellente controllo di se e del proprio rilassamento, per risalire è indispensabile la buona condizione fisica. Una volta arrivati al piattello è stato fatto soltanto un terzo della fatica, per riemergere in modo efficace e lucido servono doti atletiche e resistenza all’acidosi e all’ipercapnia. 
La risalita è lunga, e quando le gambe iniziano a far male non ci si può fermare per riposare, bisogna continuare cercando di mantenere la pinneggiata efficace ed economica.

Tornando alla compensazione quest’anno vi sono stati due eventi che anno cambiato il mio modo di percepire la profondità e che hanno reso la compensazione molto meno stressata degli anni scorsi.

Il primo è stato vedere la performance “aliena” di Martin Stepanek che è sceso a 122. Vederlo riemergere affaticato ma lucido e sorridente, ha trasformato la mia percezione dei 100 metri. Sono diventati improvvisamente fattibili e relativamente semplici se affrontati con la giusta preparazione fisica. 
Quel giorno ha cambiato il mio modo di percepire i 100 metri e in tutti gli allenamenti successivi mi sono avvalso di questa nuova interpretazione della profondità.

Il secondo evento consiste nell’aver appreso la corretta esecuzione del Mouth-fill una tecnica compensatoria utilizzata ormai da quasi tutti gli apneisti.

Con questa tecnica sono sceso diverso volte oltre i 90 metri utilizzando la maschera ed un volta messe le lenti a contatto sono bastati tre allenamenti per toccare i 100.

Tu e Davide Carrera siete buoni amici e siete attualmente i campioni italiani in assetto costante, sei contento che sia propio lui ad essere il tuo “rivale” ?
Non ho mai percepito Davide come un rivale, anzì è un amico con il quale condivido le bellissime emozioni del mare.

A Sharm el Sheikh nel 2008 ci siamo allenati insieme i preparazione dei mondiali AIDA e decidemmo di condividere il Record dei 90 metri.

Il suo tuffo non venne considerato valido per un’imprecisione nel protocollo di uscita e nonostante il rammarico il giorno seguente era in acqua al mio fianco ad incitarmi e massaggiarmi gambe e addome prima del mio tentativo.

In quell’occasione esultammo insieme per il mio record come festeggiamo a cena insieme al suo rientro dalle Bahamas quando realizzò i – 99 metri.

Da quanto tempo utilizzi la monopinna?
Non da molto e mi sa che dai video si vede vero?

Ultimamente mi sto allenando con Mike Maric che mi sta aiutando a migliore nello stile.

Sei anche un pescatore in apnea, peschi spesso oppure utilizzi questa disciplina come palestra di allenamento?
Più che pesca io porto a spasso il fucile, ma ultimamente inizio a divertirmi sempre di più e a volte qualche pesce suicida si lancia contro il mio fucile!

Mi affascina molto la pesca perché è un modo molto poetico e rispettoso di andare in acqua.

Infine l’approccio alla pesca subacquea, come già detto precedentemente, mi sta offrendo molti spunti tecnici anche sotto l’aspetto apneistico e da quando pesco ho migliorato molto il mio modo di fare apnea.

Quali sono i tuoi obbiettivi futuri?
Oltre all’agonismo amo anche molto l’insegnamento.
Meno di due anni fa sono tornato a vivere in Italia ed ho fondato Moving Limits. È un’associazione sportiva che ambisce a lavorare sul potenziale umano attraverso attività in acqua come l’apnea, il Watsu e a secco come lo yoga, il pranayama ed altre attività motorie focalizzate all’autoascolto. 
Con il mio team di istruttori facciamo corsi e stage; la nostra base è la Lombardia ma organizziamo seminari in tutta Italia e anche all’estero. 
Tra i vari progetti ho anche l’idea di realizzare una collana didattica sull’apnea.

Ho scritto un primo libro, Tecniche di respirazione per l’apnea, cheha già venduto oltre 3000 copie. A febbraio 2010 (presentazione ufficiale all’Eudi a Bologna) uscirà un manuale sulle tecniche di compensazione applicate all’apnea e a fine del 2010, penso di uscire con un terzo libro. Il titolo?…Sarà una sorpresa! 
Infine sto collaborando con alcune aziende per usare l’apnea come strumento di formazione del personale. Ho già preso parte a diversi team building e i partecipanti si sono sempre dimostrati entusiasti dell’iniziativa. Anche le aziende hanno approvato il progetto verificando che l’apnea può aiutare a identificare nuove risorse all’interno dell’individuo o del gruppo di lavoro stesso.

Hai in mente nuovi record?
Sto continuando ad allenarmi in visione del mondiali AIDA in Giappone.

Penso di poter aggiungere un po’ di metri in costante, nel mio ultimo record in free immersion sono uscito dopo 3’24’’ di tuffo decisamente lucido.

Penso di poter gestire tuffi intorno ai 3’30’’… per andare a 100 m in costante ci sono voluti 3’.

Mi resta un margine di circa 30’’da utilizzare… se la compensazione è efficace come l’anno scorso dovrebbero starci ancora diversi metri.

A voi i calcoli!

A cura di Jimmy Muzzone